Metro 2033 – Un viaggio nel futuro

Metro 2033 – Un viaggio nel futuro

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Siamo nel 2033. Moska, stazione ????(WDNCh). Artjom é di guardia al tunnel che porta alla stazione dell’orto botanico. Paura, terrore. Sa che stanno combattendo una guerra persa in partenza. Il solo essere coscienti dell’esistenza dei tetri incuteva terrore, orrore.
Anche chi non li aveva mai visti li temeva. La paura si sentiva nell’aria, pulsava nelle vene e forse dava anche quel sapore speciale al loro thé. Il thé della ????. Conosciuto in tutta la metro. L’orgoglio della loro stazione, una delle poche ancora rimaste autonome dopo le guerre per la conquista delle linee da parte dei vari partiti.
Si, uno sputo di umanitá si era salvato qui nella metro di Mosca e insieme a questo sputo pure la sua sete di potere e la completa ignoranza dell’essere umano. Dopo aver raso al suolo l’intero pianeta in un solo giorno, vent’anni fa, per le stesse ragioni.

Artjom a malapena si ricorda com’era lassú, il cielo azzurro, la luce del sole una cameretta sua e sua madre che gli cantava la ninna nanna. Spesso si sentí in colpa perché non riusciva piú a ricordare bene il viso di sua madre. Perché sopravisse quel giorno? Perché Suchoj riuscí a salvarlo dall’invasione di ratti che letteralmente divoró gli abitanti della sua vecchia stazione? Le urla strazianti della gente mentre quei ratti grossi come cani affondarono i loro denti nelle carni degli abitanti.
Le urla disperate di sua madre.

Arrivó il cambio della guardia. Artjom si sentí sollevato, i tetri non si fecero vivi. Li incontró solo una volta. La pelle liscia, nera come il buio dei tunnel della metro. E ogni volta che si preparavano ad un attacco quelle urla strazianti che facevano gelare il sangue.
L’urlo, impressionante, spalancando la bocca e piegando la testa indietro in modo quasi innaturale per poi avanzare lentamente senza rispetto per le cariche di mitra che partirono dalla postazione di guardia. I proiettili li oltrepassarono schiantadosi sui muri del tunnel e loro continuavano ad avanzare come se nulla fosse. L’urlo, qualche carica di mitra nelle loro teste, silenzio, terrore, paura.. costante.

Artjom non lo sapeva ancora ma questo cambio della guardia avrebbe cambiato la sua vita. Assieme alla gente della stazione c’era anche uno straniero. In tuta da sommosso. Alto, pelato e possente. Di poche parole.
“Quindi tu conosci Suchoj?”

Il tunnel, nero come la pece, un nero risucchiante. Le urla, terrore. Paura, le gambe tremano ma.. devo entrare.. devo.. non posso aver paura.. non posso!
Era solo un incubo, l’incubo che gia da tempo lo perseguitava. Deve partire. Per la Polis.
Dmitrij Gluchowskij (??????? ??????????), l’autore di questo romanzo post-apocalittico “Metro 2033” descrive una realtá nemmeno tanto fantascientifica. A tratti sembra anche di viverla questa realtá, di poterla toccare. Il “nuovo mondo” visto con gli occhi del protagonista, quasi un antieroe. Normalissimo, pieno di dubbi e paure, un po’ infantile a tratti che senza l’aiuto esterno di vari personaggi non sarebbe riuscito a sopravvivere a lungo durante il suo viaggio verso la Polis. Durante la lettura la catarsi con Artjom é quasi inevitabile, lui é fin troppo “normale”. E nella sua normalitá comunque riesce a distinguersi dalla massa. Ad avere le sue idee anche se non riesce sempre a focalizzarle completamente.
Per chi avesse voglia di immergersi in una sana lettura sicuramente un libro consigliato anche se a tratti un po’ forte per chi si lascia impressionare facilmente.

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